Hotel Pitstop, Tulsa, Oklahoma
“Jimbo, passa la bumba,” chiese l’uomo dalla barba rossa, seduto alla scrivania, davanti ad una pila alquanto malferma di incartamenti, il burocratico grigiore intervallato da una miriade di segnalini colorati che coprivano l’intero spettro del visibile e qualcosa di più.
‘Jimbo’, in contrasto con il suo interlocutore, sembrava la pubblicità dei neolaureati a legge, tutto ingessato e laccato, sedeva a bordo letto nella squallida stanza di quell’hotel di quart’ordine. Staccò gli occhi dal tablet giusto il tempo di esibirsi in un’espressione esasperata. “Capo, ma perché non mi chiama Herb come fanno tutti?”
“Di cognome fai Hawkins, come altro dovrei chiamarti? La bumba.”
“Sì, Bones.” Herbert ‘Jimbo’ Hawkins si strofinò gli occhi stanchi e andò all’angolo cottura. Quel posto, pure privo di condizionatore, tranne che – casualmente! – al bar, gridava ‘incidente!’ in ogni suo metro quadro, e per quello che offriva 40 dollari a notte era un ladrocinio bello e buono.
Era il posto perfetto per spillare soldi a persone in fuga, persone con segreti, persone disperate. Nessun cliente era mai rimasto al Pitstop per più di un paio di giorni. Di solito chi restava più a lungo, alla fine veniva portato via dai becchini…
Billy ‘Bones’ Walbert III, al momento di prendere possesso della camera, aveva fatto quattro chiacchiere col proprietario –il quale, contraddicendo ogni stereotipo sulla categoria, era un ragazzo dalla faccia pulita e di indole non tanto cattiva quanto pigra. E gli aveva cortesemente fatto notare quanto non ci avrebbe rimesso in denunce su ogni articolo relativo alla malagestione dell’albergo, in cambio di una tariffa più…agevolata. Come? Dieci dollari al giorno? Mi pare giusto, ma il minibar lo voglio semprepieno, grazie!
Hawkins prese una bottiglietta di Aperol e la lanciò verso Walbert. Walbert la afferrò senza neanche guardare e, sfoderando una dentatura d’acciaio, la stappò con un morso, per poi svuotarla a garganella. E un’altra bottiglia si unì al mucchio nel cestino accanto alla scrivania. “Direi che ci siamo, vecchio mio,” disse Bones, nonostante Billy fosse più giovane di dieci anni. “Cinquanta ricorsi pronti per essere presentati. Faremo parecchio rumore, e lo Stato dell’Oklahoma dovrà aprire un bel forziere.”
Erano entrambi in camicia, sudati da fare schifo, esausti, e avevano sì e no 3 ore di sonno davanti. E Hawkins disse, “Cinquanta ricorsi accuratamente selezionati, capo. Ci sono dei ragazzini detenuti ancora più ingiustamente là dentro—“
L’altro lo interruppe sollevando una mano. “Sì, ma questi hanno un unico fil rouge, vecchio mio: il Giudice Thompson si è fatto prendere la mano, e ci venderà pure la casa pur di non fare trapelare—Be’, che hai da guardare?” poi Walbert seguì lo sguardo di Hawkins…e gli scappò una parolaccia.
Acquattato alla finestra c’era un puma mannaro. Indossava un costume rosso e oro, con delle piume che spuntavano al braccio sinistro, e una collana di zanne. E i due uomini si sentirono come dei ghiotti topolini…
E poi il mostro fece loro cenno di stare zitti con un indice sulla bocca.
MARVELIT presenta
Episodio 31 – The Times they’re
A-Changing (American Grand Tour)
Di Valerio Pastore
Walbert si vantava di essere un bevitore invincibile. Non c’era bevanda che lo stendesse, e aveva fatto bei soldini gareggiando nei bar –ed era anche una consolidata tattica, quella di ‘ammorbidire’ con l’aiuto del Dio Bacco una potenziale fonte di informazioni. Quindi non pensava di stare avendo un’allucinazione.
Hawkins era disperatamente astemio. Ma una sua zia era morta in preda ai deliri dell’Alzheimer quando lui era piccolo e da allora temeva di esserselo preso come una malattia contagiosa. Pensava di averci visto giusto.
Fosse come fosse, entrambi obbedirono saggiamente a quell’invito.
Hawkins si mise seduto sul letto. Sapeva di non potere fare niente: quella…cosa era un fascio di muscoli guizzanti. Era sicuro che se anche solo avesse pensato di correre verso la porta, sarebbe stato falciato da quegli artigli prima arrivare a metà stra—“AAAH!”
In quell’esatto momento, come se il mostro gli avesse letto nel pensiero, saltò! Era una creatura grossa, robusta, di 110 Kg, ma i due uomini quasi faticarono a distinguerla mentre come un missile raggiungeva l’altro lato della stanza…
La porta protestò più sonoramente la propria distruzione, ma a quel punto il teriomorfo era già nel mezzo di una mischia contro tre uomini armati, tre disgraziati che potevano essere chiunque. Non erano professionisti, erano solo carichi di adrenalina e, dall’odore, di droga. Le pistole nelle loro mani non spararono un solo colpo: non ce ne fu il tempo. Due dei sicari furono sbattuti immediatamente contro il muro. Commozione cerebrale. Svenimento.
Il terzo era immobilizzato dalla paura. Fece un tentativo simbolico di sollevare la propria pistola…prima che una possente mano artigliata la avvolgesse e la stritolasse…insieme alla mano!
Il sicario emise un verso strozzato, e si accasciò a terra piangendo.
Senza lasciare la presa, la creatura lo trascinò nella stanza. In corridoio, non una sola porta si aprì. Le sensibili orecchie non percepirono alcun tentativo di chiamare la polizia.
Senza il minimo sforzo, l’intruso scaraventò il malcapitato sul lato libero del letto. “Questo posto puzza orribilmente,” disse distrattamente, per poi uscire da dove era venuto.
“Dillo a me,” fece Walbert. “Sto spendendo una fortuna in tintoria…Jimbo, sono morti quei due?”
Hawkins controllò il polso con un’espressione schifata al vomito che sporcava le loro facce. “No. Ew.”
Il socio anziano si chinò sulla sua borsa, e ne estrasse…una siringa. “Tra due minuti chiama Scotson all’Oklahoman, e poi il 911. E. Non mettere loro fretta…” si voltò verso il mancato sicario. “Io e te dobbiamo fare quattro chiacchiere, prima, eh?”
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Redskin Diner, Oklahoma City
“Complimenti, signori, siete riusciti a farmi venire un secondo attacco di gastrite. Chiedete una medaglia all’usciere, ma se ne vada da qui prima che decida di denunciarla per molestie.” L’uomo seduto al separé che occupava da vent’anni era il ritratto della salute. Le rughe ed una generosa brizzolatura erano la sola cosa che tradissero i suoi anni, per il resto assomigliava più ad un atleta in pensione che ancora faceva esercizio, che ad un burocrate di alto livello. Parlando, teneva gli occhi fissi sulla prima pagina dell’Oklahoman, dove capeggiava una bella foto degli infermieri che portavano via due dei tre sicari in ambulanza, la barella del terzo che capeggiava dall’atrio dell’hotel. ‘SVENTATO ATTENTATO CONTRO STUDIO LEGALE!’
“Non posso andar via, Giudice Thompson,” rispose Walbert col suo più amichevole sorriso professionale. “Ho ordinato i waffles. Dicono che qui siano spettacolari. E poi vorrei parlare delle notizie: una simpatica chiacchierata amichevole prima di sommergerla di ricorsi. Dopo non avremo più tempo di incontrarci.”
“E di cosa dovremmo…chiacchierare?” E giù un boccone di pancake al mirtillo.
Walbert fece spallucce. “Di arresti domiciliari.”
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Riserva Choctaw
…mentre un’automobile sbandò, dirigendosi a tutta velocità verso un gruppo di persone sedute al bar. Un massacro annunciato.
Un massacro arrestato, quando un enorme uomo in un costume blu tribale, con tanto di casco di penne, si gettò tra l’auto e gli innocenti, sfondando il cofano con un solo pugno! L’auto era un modello vecchio, senza airbag, e il guidatore non aveva la cintura; il suo corpo sfondò il parabrezza.
Aquila Americana cercò il polso dell’uomo. Debole, ma presente. Sollevò la testa, al suono delle sirene in avvicinamento. Era ora di andare, ci avrebbero pensato le autorità e i paramedici.
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“Cominciamo con i miei cinquanta giovani clienti, le cui famiglie hanno realizzato essere carne da cannone di un sistema corrotto volto a riempire le carceri private.”
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Riserva Cherokee
Un errore comune che commetteva l’uomo bianco, per perdonarsi retroattivamente, era di guardare agli indiani come un unico popolo senza peccato, tutti fratelli figli della natura, contaminati dal tocco dei colonizzatori.
In sintesi, una bella fesseria. Esistevano brave persone e cattive persone, come nel resto del mondo. C’erano persone che lottavano per salvarsi dal baratro della morte civile, e quelli che sguazzavano nel fango, predavano per vivere.
Come questo balordo, un poveraccio anonimo come tanti, che mettendo la mano in tasca per estrarne una pistola, decise che la donna al bancomat gli avrebbe dato di che mangiare per qualche giorno. Pagando con la vita.
Il suono del cane appena innescato di un revolver gli ricordò che il karma aveva un buffo modo di presentarsi.
“Parliamo,” disse Phantom Rider, la pistola puntata alla nuca del rapinatore.
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“Ma lei, Giudice Adrian Thompson, da uomo retto quale è, sarà sicuramente pronto a denunciare questo scandaloso schema ai danni della sua reputazione ed a liberare tanti bravi, giovani Injun Joe in attesa di un vero processo, se non dell’assoluzione.”
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Riserva Cheyenne-Arapaho
La famiglia Blackcloud dormiva della grossa. Jack e Maria facevano i turni di notte al locale, lo stesso dove si conobbero e si innamorarono vent’anni prima. Tra alti bassi, poche gioie e tanti dolori, i Blackcloud si erano aggrappati alle cose belle con la consapevolezza che rinnegarle li avrebbe distrutti. La vita era dura, apprezzare ogni piccola cosa ti dava la forza di andare avanti.
Banalità che più che mai divenne il loro pilastro dopo la visita di Walbert & Hawkins. L’arresto del loro unico figlio, Matt, aveva rischiato di distruggere il matrimonio. Avevano passato mesi a chiedersi dove avessero sbagliato, ad incolparsi. Ad incancrenirsi.
Poi erano venuti i due avvocati bianchi.
Con la prova che l’arresto di Matt era parte di un lurido business.
E da quel momento avevano lavorato ancora più sodo per pagare la parcella, per salvare Matt.
Ora dormivano, ignari di tutto. Anche dei problemi di manutenzione della casa, che avevano col tempo trascurato.
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Il giudice osservò l’uomo ed il suo completo economico come si guarderebbe un escremento su un cuscino di raso.
“Oppure potrei infognare la sua ridicola class action a tal punto che nel frattempo i suoi clienti termineranno il periodo di detenzione, e a quel puntò sarò a godermi il pensionamento in un’isoletta senza estradizione. Dicono che Tierra Verde sia splendida per tutto l’anno.”
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Fuori da casa Blackcloud, si fermò un furgoncino di una nota azienda locale che si occupava di idraulica e impianti gas. Ne uscirono due uomini in tuta bianca da lavoro e borse degli attrezzi. Erano riparatori, ma di un altro mestiere.
I Blackcloud erano il problema da riparare.
Nessuno scambio di battute, niente che potesse essere usato per identificarli. Un lavoro veloce. Una fuga di gas per cui li avevano chiamati, ma ahimè troppo tardi per impedire l’esplosion-“AAAH!”
Una specie di ombra rossa ringhiante fu addosso all’uomo sceso per ultimo!
“C@#£o! Un lupo!” Il primo riparatore fu rapido ad estrarre la pistola dalla tasca, pronto a puntarla sulla bestia che stava sbranando il suo collega—
Il pugnale lo precedette, trapassando la mano, spezzando il metallo! Un secondo grido di dolore squarciò l’aria.
L’autista, rimasto a bordo, non ci stava capendo niente! “Oddio…” riuscì solo a mormorare alla vista dell’uomo in un costume tribale con una pelle di lupo rosso e il volto contorto dalla rabbia, mentre afferrava la portiera…
E la strappò via.
“Fermati! Fermati! Ferm—“ E poi un pugno gli distrusse la faccia e i sensi.
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La cameriera servì i waffle. Walbert era estasiato. “Hmm, miele. Tierra Verde, eh? Non sapevo che ai giudici pagassero pensioni così ricche.”
Thompson lo fisso con rinnovato odio.
Tra un boccone e l’altro, l’avvocato ricambiò con un’espressione luciferina. “Ultima possibilità per ricusarsi, Vostro Onore. Lasci che sia un collega meno invischiato a gestire la cosa. Tutti contenti.”
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Jack e Maria aprirono la porta. “Red Wolf!”
Mentre le sirene si avvicinavano, il guerriero Cheyenne si avvicinò alla coppia. “L’avvocato aveva ragione: cercano di colpire tutti quelli che hanno convinto gli altri ad avviare la causa. E’ un buon segno. E non vi preoccupate, gli altri sono al sicuro come vi avevamo promesso.” E prima che potessero ringraziarlo, saltò su un tetto, mentre Lobo lo seguiva saltando da una macchina ad un furgone e da lì ad un tetto vicino…
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“Se pensa di usare una registrazione di questo colloquio…” lo avvertì Thompson.
Walbert mandò giù l’ultimo boccone. Con la massima calma, si pulì la bocca, bevve un bicchier d’acqua e si alzò in piedi. “Registrazione illegale? Nah, a questo punto non sarebbe divertente. Si goda il suo ultimo pasto da uomo libero. Au revoir.”
Il giudice aspettò che l’avvocato fosse andato via, prima di prendere il telefono…
Walbert era un avvocato itinerante. Aveva esordito come cacciatore di ambulanze, mostrando fin da subito la sua propensione ad ignorare la coscienza etica e professionale, convinto che fossero solo irritanti lacciuoli a quanto si potesse fare lavorando nel sistema.
Era sempre aperto alle novità, e odiava stagnare in un solo posto. In più, non voleva essere prevedibile, non voleva che gli altri lo conoscessero per poi elaborare delle strategie contro di lui…o che apprendessero delle sue strategie.
Lo Studio Associato itinerante Walbert & Hawkins era un’ombra senza legami familiari. Solo lavoro.
L’unico punto fermo: giustizia. Niente clienti con bagaglio di menzogne al seguito, niente psicopatici, criminali conclamati, ecc. Se volevi farti difendere da W&H dovevi essere più trasparente con loro che con te stesso, e con riserva di essere abbandonato a metà strada se una sola virgola delle tue dichiarazioni fosse risultata fuori posto.
In cambio, W&H facevano cose che, se scoperte, avrebbero valso loro la radiazione e un luuungo soggiorno a spese dello Stato. Ma garantivano risultati.
Tra i veicoli parcheggiati nei pressi del Tribunale Municipale di Oklahoma City spiccava un camper: un Fleetwood Ford E450.
Era la sede legale dello Studio Associato W&H.
“Lo ammetto, lo ammetto, quella della camera d’albergo era una bella pensata. Sarebbe stato un casino spiegare all’assicurazione i danni che Puma avrebbe combinato all’ufficio.”
Teleconferenza vocale, criptata, niente nomi. Niente al caso.
“Non era quella l’idea, Signor Walbert.”
L’avvocato mosse la mano come a scacciare un insetto. “Dettagli, dettagli. Ad ogni modo, tutto è pronto per la battaglia in aula. Con i Rangers ufficialmente coinvolti, Thompson ed i suoi complici dovranno stare buoni mentre presento un ricorso da prima pagina. A quel punto, che Suo Disonore si ricusi o no, i suoi foraggiatori lo scaricheranno che è un piacere…anzi, il modo migliore per bloccare il ricorso sarebbe di eliminarlo, mettendo così in moto la burocrazia delle investigazioni…”
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Thompson entrò in ufficio. Aveva un diavolo per capello: il numero che aveva insistentemente composto era già scomparso. Non era un buon segno.
Si sedette alla scrivania, osservando con rammarico la toga nera appesa all’appendiabiti, chiedendosi non per la prima volta a che punto aveva deciso di fare soldi facili distruggendo vite innocenti.
Era stato facile convincersi che non era così grave, che sarebbero stati pochi mesi di detenzione, senza conseguenze per quei ragazzini dalla pelle dura, mentre lui guadagnava ottime cifre ad ogni condanna di cui allo Stato dell’Oklahoma poco importava.
Fin quando nessuno al di fuori delle comunità indiane protestava.
Poi era arrivato quello squallido avvocato. E quei dannati supereroi! I Rangers erano di Phoenix, che ci facevano in Oklahoma!?
Bussarono alla porta. Attraverso il vetro smerigliato, vide la figura con un berretto d’ordinanza. “Ah, Todd, entra pure.” Fosse come fosse, non si cominciava la giornata senza un buon caffè.
La porta si aprì. Alla vista dell’usciere, che estraeva una pistola con silenziatore, la prima cosa che venne in mente al Giudice fu ‘Tu non sei Todd’.
Il sicario sollevò l’arma.
Thompson era ormai certo che era finita. Non fece neanche finta di proteggersi.
Ma il sicario li restò, immobile come una statua. Non respirava neanche, gli occhi non sbattevano. paralisi completa
Il cuore di Thompson riprese a battere. “Ah…ahhh…”
Una seconda figura apparve da dietro l’usciere. Il Giudice non ebbe bisogno di sforzarsi per capire che fosse uno dei Rangers, ma non riconobbe la figura seminuda dal corpo decorato di pitture bianche, un ampio mantello di piume nere e il casco oro e nero che lasciava scoperto solo bocca e naso.
“Adesso lascio la decisione a lei, Giudice,” disse Corvo Nero. “Posso spezzare la paralisi del suo esecutore e lasciare che termini il proprio lavoro, o lei può decidere di fare la cosa giusta.”
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“…ma credo che ci abbiate già pensato.” Walbert afferrò al volo la bottiglietta di Campari. “Grazie, Jimbo. Quindi, ora la domanda è..” aprì la bottiglietta coi denti. “Avete intenzione di invadere un centro di detenzione e diventare criminali federali? Perché sarà un po’ un casino proteggere cinquanta ragazzini da una rappresaglia inevitabile.”
“Non ci sarà bisogno di alcuna…invasione. Non come la pensa lei, almeno,” rispose la voce con flemma glaciale.
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Centro di Detenzione Minorile Sweetsage
…Abbiamo già qualcuno
all’interno.
“Un peccato che non abbia referenze più…importanti, signor, ah, Johnny Cash?” La Direttrice sollevò lo sguardo dal file.
L’uomo con la mascherina seduto dall’altra parte della scrivania era un mezzosangue indefinito, nessun precedente salvo un paio di piccoli furti, pena scontata. Niente che non si trovasse nella fedina di un sacco di abitanti delle riserve. Almeno non beveva. E l’officina del carcere aveva bisogno di un tecnico del suo livello, a paga minima, in un momento in cui metà dello staff educativo era evaporato…
William ‘Coyote’ Cash fece spallucce. “Queste manine sono tutte le referenze che vi servono, gente. Affidatemi i fanciulli e, tempo sei mesi, li metterete a lavorare ai motori della Air Force.”
“Non credo che arriveremo a tanto, Mr. Cash, ma benvenuto a bordo.” Andrea Markus si alzò in piedi. Non offrì la mano, ma non per maleducazione –Sweetsage era un’istituzione dove le regole sul contagio erano seguite severamente.
Cash si alzò a sua volta e uscendo le fece ‘ciao ciao’. “Grazie, sarà un pia—Opss!” quasi sbatté contro un’imponente guardia carceraria, grossa come un armadio. La guardia rivolse un’occhiataccia a Cash, prima di lasciarlo passare.
“Agente Wingfoot,” disse la donna. “Ci sono problemi?”
“Il nuovo ospite, signora. E’ appena arrivato. E’ in infermeria,”
La donna sospirò. Dexter Crane, un 16enne di buona famiglia con precedenti di bullismo, nessuna denuncia formale fino a quando non aveva quasi mandato all’ospedale un altro studente. Quando erano venuti a prenderlo, puzzava di alcool –probabilmente un trucco del suo avvocato per farlo passare come il gesto di una persona in preda ad alterazione…non fosse che, appunto, Crane aveva cambiato scuola più frequentemente che un bambino il pannolino. E tutte le volte i soldi di papà avevano comprato un solido silenzio.
Ma stavolta aveva picchiato uno studente che non aveva taciuto. Caso semplice, e l’affidamento sarebbe stato un inferno… “Grazie, agente. Andrò a visitarlo a breve. Ha dato problemi?”
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Infermeria
Oh, no, signora. Proprio nessun problema.
Le analisi mediche di rito erano la prima garanzia, agli occhi del pubblico, che il sistema funzionava. ‘Ci prendiamo cura dei nostri ospiti, fin dall’ingresso’.
Niente di speciale, beninteso, salvo prendere temperatura, fare i tamponi e una botta di antibiotici ad ampio spettro giusto per ogni evenienza. Più qualche attenzione alla sua anamnesi, dato che durante l’arresto aveva perso di colpo conoscenza, e nessuno voleva una rivolta su un presunto abuso di polizia contro un minorenne.
Dexter Crane si era risvegliato durante il trasporto in ambulanza. Sembrava confuso, ma ricordava fin troppo bene cosa aveva fatto. E ora, un giovane di media corporatura, capelli scuri, non faceva che starsene zitto per tutto il tempo, continuava a guardare dritto davanti a sé come se non gl’importasse nulla di ciò che lo circondava.
Il che, in un certo senso, era vero.
Perché era dal momento del suo arresto che Dexter Crane era stato sfrattato dal suo corpo.
E nessuno si accorse dei suoi occhi, che per un momento divennero completamente rossi.